Un professionista molto tecnico, un po’ nerd, capace di far funzionare processi complicati e sempre attaccato al suo pc. Era questa, fino a poco tempo fa, l’immagine comune dello sviluppatore software. Oggi, invece, l’immagine dei new developers sembra essere un po’ cambiata, e i mutamenti che essa presenta sono lo specchio delle dinamiche evolutive del settore. Osservare come cambia questa professionalità aiuta a comprendere i processi in corso e le linee di tendenza di uno dei settori più dinamici dell’economia.
L’indagine qualitativa condotta per TIG-The Innovation Group nel gennaio 2015 (che ha coinvolto un gruppo di sviluppatori innovativi) ha cercato di cogliere le principali dinamiche sottese al mercato IT, e, tra queste, ha permesso di fotografare le principali evoluzioni della figura dei developers.
Molteplici i fattori di mutamento: innanzitutto il mercato finale di riferimento. Oggi gli sviluppatori non sono più solo concentrati sui bisogni delle aziende, ma il loro utente finale appartiene sempre più spesso al mondo consumer. I destinatari delle loro creazioni non sono quindi più figure a loro volta tecniche e del settore, ma le persone comuni, spesso senza competenze e background informatico. La prima conseguenza che ne discende è il tema, sempre più dominante, dell’usabilità. I linguaggi complessi utilizzati devono quindi tradursi in interfacce facili, intuitive, accattivanti e all’informatico viene chiesta la capacità di ragionare con gli occhi di chi sa poco o nulla di programmazione, ma desidera comunque sfruttarne le potenzialità.
Non solo, il prodotto finale, l’interfaccia deve essere sempre più attraente, sexy. Da qui la seconda conseguenza di questo mutamento di scenario: il bisogno di integrare competenze di puro sviluppo a quelle creative, di content design (“nel mercato dello sviluppo oggi ci devi mettere anche del gusto”; “non puoi più presentarti con una schermata senza grafica”). Lo sviluppatore non basta più ed emergono, con sempre maggiore centralità, nuove figure professionali, tra cui in particolare quella dello User Experience Designer.
Anche i driver discelta dei vendor cambiano. Mentre prima la scelta dei fornitori di tecnologia e software era quasi necessaria (erano “abilitanti”, solo uno o quasi permetteva di rispondere a determinate esigenze), ora si è delineata una sorta di libero mercato, in cui la competizione tra i player è forte, e gli sviluppatori optano per il vendor più performante, che meglio risponde alle crescenti richieste di flessibilità operativa e che meglio sposa le loro competenze tecniche (i.e. il linguaggio di programmazione preferito). E in questo scenario, nonostante la riconosciuta supremazia di alcuni vendor, il brand di appartenenza dello strumento è divenuta una leva sicuramente meno fidelizzante di un tempo. Il mercato evolve continuamente e rapidamente e gli operatori del settore sono aperti a nuovi brand e player: la reputation della marca va continuamente rinsaldata attraverso prodotti e servizi all’altezza delle domande sempre più complesse dei buyer.
Ancora, il ruolo degli sviluppatori cambia la propria natura e si sposta da una posizione molto tecnica ad una più consulenziale. La disponibilità di molti strumenti di monitoraggio delle performance (per es. gli analytics) permette e impone ai developer di consigliare ai propri clienti perpetue migliorie e di approcciarli più come partner, con consulenza anche strategica, e non più solo come figure esecutive. Qualche sviluppatore, tra quelli più abili e fortunati che hanno visto crescere il proprio business, vive con un po’ di rammarico la rinuncia alla vera propria passione (maneggiare linguaggi e codici): “Combatto per tenere più tempo possibile per fare quello che a me piace fare, che è lo sviluppo, e invece mi trovo a doverne impiegare tanto per parlare con clienti, fare consulenza, coordinamento, attività gestionali…”
In tutto ciò non si può ovviamente non citare la novità principe di questo mondo, ormai non più tanto nuova a dire il vero, ma sicuramente rivoluzionaria: l’avvento del cloud. La ‘nuvola’ sembra essere il vero cuore del concetto di «new development», un liquido amniotico in cui l’applicazione si sviluppa (piattaforme) ed in cui successivamente può funzionare (infrastrutture, data storage). «Che cosa vuol dire cloud? Perché ormai il cloud è quasi tutto…»; «Il cloud è pervasivo: dropbox, gDrive, sistemi di storage remoti…».
E così diventano irrinunciabili le formule “as a service” (ovvero l’accesso a software e piattaforme non tramite acquisto e possesso degli stessi, ma tramite l’utilizzo e il pagamento a consumo di strumenti in cloud). Paas (Platform as a Service) e Saas (Software as a Service) sono ormai le soluzioni di lavoro più comuni e l’ambiente “locale” sembra definitivamente tramontato. L’ “as a service” offre infatti grandi potenzialità di scalabilità e un continuo aggiornamento a cui sarebbe difficile far fronte diversamente. Un aiuto fondamentale per far fronte alla “condanna dell’innovatore”: la necessità continua di innovare e di essere informato sulle novità che circolano. Linguaggi, sistemi, piattaforme, prodotti e servizi sempre nuovi, che impongono agli sviluppatori un grande dispendio di tempo ed energie per stare al passo con i tempi.
Non a caso l’ecosistema degli sviluppatori sembra mutuare dall’architettura del cloud le sue caratteristiche principali, configurandosi come un network di competenze competitive, ma anche ampiamente collaborative, con grande desiderio e bisogno di condividere conoscenze e saperi, in una logica quasi open-source, difficile da riscontrare in altre professionalità.
Ma, come dicono i nostri intervistati, quanto sin qui detto in realtà è già “old”. Il futuro sembra piuttosto essere in tutto ciò che tenderà a far penetrare ulteriormente l’informatica nel quotidiano umano: IoT, wearables, automotive, tv, home appliance e mondo wireless, domotica… E’ il mercato consumer il vero traino dell’innovazione, mentre il mercato business sembra ancora ampiamente pervaso da logiche e sistemi più datati.
Per quanto tempo ancora, sarà da scoprire.
(Giugno 2015)